La leggenda di Redenta Tiria commento di Francesco Caracciolo

Romanzo di Salvatore Niffoi

Uscito presso Adelphi a primavera, sono apparse a firma dei maggiori esponenti della critica letteraria nazionale favorevoli recensioni del romanzo di questo scrittore nuorese. La tv ha intervistato l’autore dopo il rapido successo che la edizione ha avuto. Sono preannunciate numerose altre opere dello stesso autore più interessanti della prima. E’ nato in Sardegna un grande narratore genuino e autentico.

Così, dopo Piperno di “Con le peggiori intenzioni” edito da Mondadori, Niffoi è diventato quel che si dice un caso nazionale, anzi un caso sardo, straordinario, proprio all’inizio della stagione 2005 dei premi letterari. La Sardegna, se ci eccettua la Deledda, non è stata storicamente madre di celebrati autori in italiano. Anche Salvatore Niffoi nasce in quel distretto nuorese fecondo di coevi altri scrittori affermatisi però fuori dall’isola, ma, a differenza, vivendo per mezzo secolo a stretto contatto con i suoi paesani, ha concepito, partorito , fatto vivere o morire con una sua fantastica rielaborazione alcuni di essi come antichi eroi tragici.

Non si può del resto ignorare che i dintorni del suo luogo di nascita sono anche ricchi di maschere tagliate rozzamente in essenze di legno e di figure dal significato misterioso, con cui specialmente a carnevale il popolo suole interpretare o rievocare personaggi fortemente ancorati alla tradizione.

Lo schema del romanzo prima e la sua lettura poi, mi hanno indotto a scrivere alcune considerazioni critiche. Il titolo “La leggenda di Redenta Tiria” anzitutto. Rievoca alla mente raccolte di opere di fantasia,favole, racconti, canzoni, novelle, temi musicali e persino film. Si tende ad avvincere il lettore fin dalle dediche ed epigrafi oltre la copertina, preannunciandogli una musica orecchiabile da cantastorie di Sardegna, tipica delle ballate romantiche.

Come in uno spettacolo musicale in due atti, scena dopo scena, Niffoi introduce i suoi diciasette eroi, che agiscono come marionette mosse da fili. Dopo averci introdotto la ribalta del palcoscenico sempre con la stessa comune presenta i protagonisti del primo atto con accordi di tono minore più o meno diesati ; nelle esecuzione del breve tragico brano che li riguarda si intercalano è vero annotazioni liriche intonate al paesaggio circostante, mutevoli come il clima delle stagioni e a seconda di quel che accade al suo personaggio, il quale però esce di scena da eroe tragico, mostrando quasi sempre sfacettature del proprio essere gioiose e accoglienti.

La gioia di vivere allieta i personaggi delle altrettanto brevi storie del secondo atto del romanzo che si chiude con un epilogo gioioso dell’Autore simile a quello di una sinfonia beethoveniana. Il linguaggio del cantasorie Niffoi è sciolto, efficace, incisivo come quello di una battuta da commedia, un misto di parole stringato che al momento opportuno suona sardo, dialettalmente alterato o tipico del gergo popolare. Nel complesso il romanzo piace anche con queste segni di abbellimenti e di alterazione che affinano la lettura delle vicende umane in cui sono coinvolti i protagonisti.

Il nome del paese, Abacrasta, nome di fantasia ove si svolgono i fatti, ma identificabile per le sue risorse economiche statisticamente note, rappresenta il frutto di una ricerca meticolosa ma significante , per via di quel crasta che in sardo significa sassi, pietre. . Per celarne il più possibile la collocazione geografica alla curiosità dei lettori, questo paese , è restato isolato e da evitare. Col tempo diventa luogo in cui sorge un palcoscenico arido, essenziale, immerso nella notte buia, nel quale convivono fatalisticamente e con ignavia compaesani che fanno da contorno ai protagonisti descritti da Niffoi : una Voce come una sirena ancestrale li induce al suicidio , la maledizione biblica li perseguita.

I nomi, i segni caratteristici esteriori del viso sono alterazioni evidenti di altrettante carte di identità catalogate nell’archivio della memoria dell’autore. Niffoi, coinvolge i protagonisti in azioni semplici e serrate ed evoca fatti terrorizzanti per suscitare nello spettatore- lettore spesso un senso di angoscia e di orrore. Descrive o rappresenta farse di esasperata comicità oppure esegue satire amare e pungenti con un uso del linguaggio in re minore amaro e talvolta viscerale da far venire il voltastomaco (Zirolamu Listinchinu).

Vengono in mente le rappresentazioni in voga nel teatro parigino di Monmartre dal 1897 alla fine della prima guerra mondiale, il teatro GRAND GUIGNOL dal nome del burattino lionese creato ad imitazione di quelli italiani.
<b>Ma il finale squarcia> e cancella il buio del passato e la comunità di Abacrasta è Redenta dalla presenza ormai stabile di una figura di donna Cieca e misteriosa che simboleggia la consapevolezza della propria crescita civile e culturale avvenuta ad opera dei suoi figli migliori.

   

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