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IL RACCONTO
Il mio maestro José
di ROBERTO SAVIANO
copiato da repubblica
Di tutte le cose che poteva fare Josè Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi Josè proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori. Ma lui non ti dava proprio alcuna impressione di essersi stancato di vivere, respirare, mangiare, amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle sembrava un sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: "Potessi decidere, io non me ne andrei mai". Parlare della morte di qualcuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un esercizio retorico, una proclamazione di memoria e virtù del defunto. L'unico modo che si ha per mantenersi sinceri, è quello di tentare di descrivere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di respirare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato sommato alla tua vita, ciò che ti è rimasto dentro, che riuscirai a passare a chi incontrerai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei riuscito a trattenere. Avevo conosciuto Saramago per la prima volta come tutti, leggendolo. Il Vangelo secondo Gesù era il suo libro che mi aveva cambiato, trasformando il modo di sentire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sembrato essere un personaggio del tutto nuovo nella storia della letteratura. Era una sintesi dei vangeli apocrifi, dei vangeli ufficiali, dei racconti pagani e delle leggende materialiste sul Cristo socialista. Era il Gesù dell'amore carnale verso Maria Maddalena. Su questo Saramago ha scritto parole incantevoli come solo il Cantico dei Cantici era riuscito a creare: "Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose "Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi"". E' un Gesù umano che non vuole morire: è il contrario della santità, è uomo con i suoi errori, peccati, talenti e con il suo coraggio. Sembra dire al lettore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schiavi. "Allora Gesù capì di essere stato portato all'inganno come si conduce l'agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto". Proprio così: il Gesù di Saramago rivolgendosi all'uomo chiede di perdonare Dio, ribaltando la versione evangelica del "Padre perdona loro". E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pronunciata da lui per rispondere a me che maledivo certe scelte che mi avevano rovinato la vita. "Arriva sempre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare". E la parola di Saramago era sempre una parola rischiosa, non cercava mai di farsi comoda. Sognavo di trasferirmi da lui, come mi aveva consigliato, esprimendomi solidarietà nei giorni più difficili. Non lo dimenticherò mai. E non dimenticherò mai l'imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì "maestro di vita". Io che da lui cercavo continuamente indicazioni, esperienza, per galleggiare in un oceano di difficoltà, bile, rabbia, ostilità. Lui era un maestro che insegnava per farsi a sua volta insegnare. A Stoccolma disse che nella sua vita le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni. Entrambi analfabeti. La loro saggezza era stata costretta a rinunciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dipinti, ma che era riuscita a conoscere la vita, a sentirne con generosità quello che José chiamava sussurro. "Tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni". Una volta scambiandoci alcune riflessioni sullo stile, citai Albert Camus convinto che "lo scrittore che decide di scrivere chiaro vuole lettori, lo scrittore che scrive oscuro vuole invece interpreti". E la risposta fu: "ecco cos'hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare". Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Avevi ragione, José: "il viaggio non finisce, solo i viaggiatori finiscono". E ora tocca a noi qui. Continueremo a camminare con le tue parole a indicarci la strada senza fine.
©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara (19 giugno 2010)
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