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Con “Ritorno a Baraule” terzo romanzo di Salvatore Niffoi edito da Adelphi lo scrittore sardo di Orani tenta di ripetere il successo di “La leggenda di Redenta Tiria” e di “La vedova scalza”.
Questa volta mi ha entusiasmato di meno. Non tanto per la storia di Carmine Pullana, questo il nome del protagonista, chirurgo di fama, velista in solitario, legato come un eroe romantico alla Jacopo Ortis alla donna del primo unico amore sognata e mai posseduta , malato gravemente di cancro, che riapproda ai luoghi cari per cercare di ricomporre i tasselli della sua identità, sapere senza alcun dubbio i nomi dei suoi veri genitori e non di quelli che la gente compaesana sopravissuta gli attribuisce o che la anagrafe gli certifica. Ne’ per le vicende dei molti personaggi minori che si incontrano, né per il racconto con vari rimandi al suo passato dell’ultimo anno di vita del protagonista, nei quali risalta il modo di narrare tipico dello scrittore.
Anche in questo libro la vicenda principale ha un finale tragico. E’ ambientata in luoghi della Sardegna dai nomi alterati per condurre il lettore alla scoperta di nuove quinte del palcoscenico ed accentuare come in un giallo, il mistero che avvolge la venuta al mondo di Carmineddu , sino ad un determinato punto, perché in una pagina è citata a chiare lettere l’isola di Mal di ventre e lo stagno di Pontis .
Altri significativi cenni fanno capire che il teatro di storia è Cabras con le sue lagune con riferimento ai prodotti più tipici della zona, vernaccia, merca, bottarga, muggine, ecc. alla corsa degli scalzi di San Salvatore.
Diceva un professore di ginnasio, “parla come mangi e scrivi come parli”. Niffoi in questo libro segue questo consiglio sferra pugni allo stomaco, frasi e similitudini non facili a digerire, ma anche sequenze di grande liricità ed armonia, soliti proverbi , filastrocche dialettali , abracadabra del tipo” pape satan pape satan aleppe” dantesco, refusi tipografici, parole di sua invenzione, sia in dialetto che in italiano. A parte certe sfasature tra le parti del racconto- ci fa conoscere episodi dell’ultimo anno del protagonista in presa diretta, mentre quelli che lo riguardano come figlio adottivo, alunno, giovanotto, professionista, ce li riferisce giusto per spiegare le anomalie e i contrasti passionali del suo eroe. A me non è piaciuto il frequentissimo uso dell’avverbio” come”, per cui nelle circa duecento pagine del romanzo, lo scrittore, adoperandolo ripetutamente come accordo di pianoforte anche due, tre volte di seguito in una pagina, raggiunge la cifra di oltre trecento..
L’autore vuole essere musical- popolare, ama aggiungere particolari a tutto quel che gli suggerisce la fervida fantasia e cura con numerosi come il ritmo delle frasi.
Francesco Caracciolo |